Premessa: amiamo la cucina romana (soprattutto i primi piatti, sul resto c'è decisamente meglio lungo la penisola) e sappiamo i limiti (soprattutto nelle stagione calde, quindi ormai per tre quarti dell'anno) della cucina milanese, quella della nostra città. La «piacioneria» dell'intoccabile triade carbonara, cacio e pepe, amatriciana e di qualche altro piatto (gricia, carciofi alla giudia, supplì, saltimbocca…) è alla base dell'invasione culinaria, di successo, sotto la Madonnina tra insegne storiche come Giulio, Pane e Ojo, quelle di brand collaudati (Felice a Testaccio o Flavioveloavevodetto) e soprattutto le ultime che sono legate a personaggi di forte romanità: Il Marchese che ha tra i soci l'attore Edoardo Leo, Taverna Trastevere di Nicola Vaporidis (che ne ha un'altra a Londra) o il locale del popolare Max Mariola che è diventato, come prevedibile, un ‘caso’ tra detrattori dei piatti e sostenitori del verbo.
Ecco perché fa notizia che un'insegna autenticamente milanese sia sbarcata nella Capitale, portando una visione di cucina (quasi) senza compromessi e scegliendo un luogo centralissimo quale la galleria Alberto Sordi, a metà di via del Corso e a due passi dalla Fontana di Trevi: nata nel 1922, come Galleria Colonna, venne intitolata al grande attore nel 2009 e qualche mese fa ha ritrovato il suo antico splendore, dopo un progetto di riqualificazione e restyling. E' qui che Stendhal Milano ha deciso di aprire: l'insegna è nata a fine anni '80 nel cuore di Brera da un’idea di Italo Manca, uno degli ultimi dandy milanesi. Un locale dalle atmosfere retrò, in linea con la scelta del nome: un omaggio al celebre scrittore francese che amava follemente Milano tanto da definirla «beautè parfaite» (bellezza perfetta) e adorare la costoletta. Dal 2000, il locale è della proprietà la famiglia Forti, una delle più note nel settore del food-hospitality in città, che ha reso il tutto più contemporaneo, senza perdere (giustamente) il filo con il passato.
Com'è Stendhal
«Lo so che portare un po’ di Milano nel cuore di Roma è una vera sfida. Ma non vogliamo essere solo un flagship della cultura gastronomica meneghina moderna, ma un posto dove stare bene in ogni momento della giornata» spiega Marcello Forti, proprietario e founder di Stendhal Milano.
Il luogo, lo diciamo subito, è bello e luminoso con le vetrate affacciate sulla Galleria Sordi. Una sala di buone dimensioni da 25 coperti, con bancone regolamentare (dove vai, oggi, se non hai la bottiglieria alle spalle, gli inserti al bancone e cinque sgabelli?) a piano terra e un'altra ventina al piano superiore dove c'è la cucina a vista con un piccolo bancone con tre coperti per vedere i cuochi all'opera. Si vede la «mano» diversa rispetto alla sede milanese, l'esperto Tiziano Vudafieri dello studio Vudafieri Saverino Partners ha puntato su arredi contemporanei e una carta da parati «Pantone Verde Stendhal» con un disegno che, con un gioco di aperture e archi, rimanda alla Galleria nella quale ci si trova. È il trionfo del verde, che peraltro domina anche nel locale di Brera. Scontata ma apprezzata la mise en place classicissima, con piatti e bicchieri eleganti. Ci vogliono ogni tanto, no?
Come si mangia
Il menu è sensato: sarebbe arrogante (e commercialmente sciocco) puntare solo sui piatti milanesi. Ma il cuore della proposta è rappresentato da un preciso risotto «giallo» Carnaroli Riserva San Massimo come dai mondeghili (ecco, qui abbiamo notato una deviazione verso il croccante che non è integralista), il riso al salto con la fonduta di Silter DOP, l’ossobuco in gremolada (entrambi a punto) e la milanese di vitello alta ma proposta anche in versione finger food, facendo l'occhiolino a Gualtiero Marchesi.
Su questo esame superato: per evitare di essere eccessivamente buoni per campanilismo, abbiamo portato un collega romano doc (pardon, di Roma Nord) quasi a digiuno di cultura culinaria oltrepadana. Si è trovato bene, anche se il piatto che ha preferito è stato il fiore di zucca, ricotta e pesto alla genovese: tra i signature dish di Stendhal anche a Milano insieme al vitello tonnato, al tonnarello verde con ragù di vitello e olio al tartufo (ah ah, vedi che c'era la Capitale nel destino del brand…) e alla tarte tatin della casa.